Giada racconta

*Questo racconto è stato composto in occasione del concorso letterario Marostica Città di Fiabe edizione 2017.

Giada era una piccola bambina che andava matta per le lunghe passeggiate.
D’estate camminava per ore interminabili sulla riva del mare. Le piaceva affondare i suoi piedini nella sabbia umida aspettando che le onde venissero a toccarla.
Lungo la strada trovava sempre conchiglie dai colori strani o piccole pietre dalle forme curiose che raccoglieva e conservava al sicuro.
Quell’estate i suoi genitori la portarono in una spiaggia diversa dalla solita, così la piccola bambina fu subito contenta di quel nuovo posto: chissà cosa avrebbe trovato esplorando quella spiaggia in una delle sue lunghe passeggiate!
S’incamminò lungo il bagnasciuga pronta a nuove scoperte.


Ma quella spiaggia la deluse: non trovò né conchiglie né pietre particolari. Giada continuava a camminare anche se ormai aveva perso la speranza di trovare qualcosa di interessante.
A un certo punto, la strada s’interruppe. Proprio sopra la sabbia, si trovava un grande masso.
La piccola bambina non aveva mai visto una pietra così grande. Era più alta di lei ed era impossibile vedere cosa ci fosse oltre.
La sorpresa iniziale era stata talmente grande che persino la delusione di non avere trovato conchiglie era scomparsa. Quell’enorme pietra aveva incuriosito Giada: aveva cominciato a fantasticare immaginando cosa ci fosse oltre. Aveva provato a sporgersi sul mare per sbirciare dietro il grande masso, ma anche se aveva immerso completamente i suoi piedini nell’acqua, non c’era riuscita.
Malgrado tutti i suoi sforzi, alla piccola Giada rimaneva solo tornare indietro, senza sapere cosa ci fosse dietro quell’enorme scoglio. Ma la bambina non si rassegnò: sulla spiaggia trovò un legnetto. Lo prese e iniziò a disegnare sulla sabbia umida.


Disegnò un castello, con delle torri e una porta maestosa. Poi fu la volta dei suoi abitanti: c’erano bambini che si rincorrevano con i loro cani, c’erano nonni che ridevano mentre giocavano a carte e c’erano cavalieri dai mantelli colorati.
Quando quel disegno fu terminato, Giada si allontanò per guardarlo bene. Poi rivolse lo sguardo alla pietra che era rimasta in silenzio per tutto quel tempo e le parlò: «Allora, Grande Pietra, è questo che c’è dietro di te? Un grande castello con i suoi cavalieri e tanti bambini che giocano ad acchiapparello?».
La Grande Pietra rimase ancora in silenzio, senza confermare o negare nulla. Ma per Giada quello era un no. «Non ho indovinato, vero? Allora facciamo così: ormai si è fatto tardi e devo tornare a casa, ma domani sarò di nuovo qui, va bene? Non mi arrenderò così presto!».
La bambina raccolse il legnetto da terra e s’incamminò verso casa. Dopo qualche passo si girò a controllare che la Grande Pietra fosse ancora lì e poi continuò la strada del ritorno.


Il giorno dopo Giada percorse la strada sulla spiaggia quasi correndo: la notte prima aveva sognato un altro posto che poteva nascondersi oltre la Grande Pietra e non vedeva l’ora di disegnarlo sulla sabbia per scoprire se aveva ragione.
Quando arrivò, guardò dritto di fronte a lei lo scoglio muto, impugnando il suo fedele legnetto quasi con aria di sfida. Non disse nulla e cominciò direttamente a disegnare sulla spiaggia.
Questa volta comparvero colline coperte da prati verdi e alberi a destra e a sinistra del disegno. In lontananza sembrava di vedere delle pecore al pascolo, mentre sulle chiome di qualche albero si nascondevano scoiattoli golosi di ghiande. Sopra qualche fiorellino volavano farfalle blu, mentre nel cielo sereno si riusciva a vedere in lontananza qualche merlo. Appena Giada fu soddisfatta di quel disegno, si mise di nuovo in posizione di sfida di fronte alla Grande Pietra.
«Forza, ora dimmi! È questo che c’è dietro di te? Questa volta sono riuscita a indovinare?».
Ancora una volta, lo scoglio, quasi divertito, rimase in silenzio dopo quella domanda.
«Non ho indovinato nemmeno questa volta, vero? Bè, non mi arrendo mica, Grande Pietra! Domani tornerò con un altro disegno, e così anche domani e dopodomani ancora, finché non indovinerò e allora potrai farmi passare dall’altra parte!».
La piccola bambina s’incamminò verso il ritorno. Ancora una volta, si girò a guardarla, quasi per controllare che fosse ancora lì. «Ci vediamo domani, Grande Pietra» disse con affetto.


Di giorno in giorno la bambina arrivava sempre con un posto nuovo da disegnare di fronte alla sua nuova grande amica.
Una volta c’erano fattorie con galline, mucche e cavalli; un’altra volta intere foreste, con tigri, serpenti e pappagalli. Poi un pomeriggio Giada vide un documentario in televisione e scoprì la savana! Che posto meraviglioso! Tutta interamente gialla come la spiaggia che vedeva ogni giorno e con quegli animali così strani! La mattina dopo non perse tempo a disegnarla davanti a Grande Pietra, lasciandosi trasportare così tanto che iniziò anche raccontarle come gli elefanti usavano la proboscide per farsi il bagno.
Ormai quando disegnava per la sua amica, Giada si metteva comoda: distesa a pancia in giù sulla spiaggia, iniziava a muovere il suo fedele legnetto sulla sabbia mentre descriveva a Grande Pietra cosa facevano gli animali o se in quel posto facesse caldo o freddo.
Giada e Grande Pietra stavano proprio bene insieme: all’ombra dell’immenso scoglio, la piccola bambina riusciva a vedere i posti più belli con il semplice potere del suo legnetto. Anche a Grande Pietra erano cominciate a piacere quelle storie ogni giorno diverse: Giada se n’era accorta da come l’ascoltava attenta in silenzio.


Una di quelle mattine però accadde qualcosa di diverso.
Mentre la bambina era intenta a disegnare un lago circondato da montagne piene di neve, come quelle che vedeva da casa sua in inverno, sentì abbaiare un cagnolino. D’un tratto, smise di parlare e cercò di capire se aveva sentito bene. Il cane abbaiò di nuovo e Giada fu sicura che si trovasse lì vicino.
«Cane? Dove sei?».
«Bau! Bau!» si sentì in risposta a quella domanda. Giada era sempre più incuriosita. Seguì quel richiamo, finendo per appoggiarsi a Grande Pietra, come per dirle di rimanere in silenzio per non spaventare il cagnolino.
D’improvviso, il cane le sembrò ancora più vicino: era giunta a una piccola fessura dentro Grande Pietra di cui non si era mai accorta. Si chiese per un attimo se la sua amica avesse provato dolore quando si era fatta quella ferita. Di certo ormai non le faceva più male perché Giada riusciva a toccarla senza che Grande Pietra si lamentasse.
«Bau! Bau! BAU!». I versi del cagnolino erano diventati più forti: la bambina capì di averlo trovato. Provò a infilarsi in quella fessura stretta per scoprire che ci passava. «Cane! Cagnolino, dove sei? Sto arrivando! Non aver paura…». Dopo qualche passo, Giada vide il piccolo animale che scodinzolava felice dall’altra parte del passaggio. Sorridendo contenta anche lei, lo raggiunse. E così si ritrovò dall’altra parte di Grande Pietra.
Non se ne accorse subito. Era stata distratta dal cagnolino saltellante di gioia. Dopo che lo prese in braccio per accarezzarlo, Giada alzò gli occhi e capì dov’era finita.


A sinistra stava l’altro lato di Grande Pietra, quello che non aveva mai visto. Quasi non riconobbe la sua amica. E poi, girandosi a destra, rimase ancora delusa: da quella parte non c’erano foreste o savane, colline verdi o fattorie di animali. Soltanto sabbia, sabbia e mare, come dal lato della spiaggia che conosceva ormai tanto bene.
D’un tratto la felicità di aver raggiunto il cagnolino scomparve. Non c’era nessuno dei posti che aveva immaginato in quei giorni, ma tutto esattamente com’era dall’altro lato di Grande Pietra.
Mentre Giada pensava a tutto ciò, comparve un bambino all’orizzonte: correva sul bagnasciuga e chiamava qualcuno. Giada immaginò che si trattasse del cane che lei portava in braccio.
«Sirio! Finalmente! Non devi scappare così! Ti puoi perdere!». Il bambino aveva il fiatone per la corsa. Appena vide che Sirio non correva alcun pericolo, cominciò a rallentare fino a fermarsi e riprese fiato.
«Si chiama Sirio? È il tuo cane?» chiese Giada.
«Sì! Grazie di averlo preso! Avevo paura di perderlo! Mia mamma mi avrebbe punito per settimane… ».
«Di nulla! Ecco qui. Vai, Sirio, torna dal tuo padrone». Il cagnolino passò dalle braccia dell’una a quelle dell’altro con un mugolio che sembrava una scusa sussurrata.
«Grazie davvero! Io sono Bruno. E tu come ti chiami?».
«Giada» disse la bambina stringendogli la mano.
«Cosa ci fai qui, Giada? Fai il bagno?».
«No, oggi no. Sono qui in vacanza con i miei genitori e ogni giorno vengo qui a disegnare sulla sabbia dietro… di lei» rispose, indicando Grande Pietra.
«Che vuol dire dietro di lei? Dici dietro lo Scoglio del Silenzio?».
Anche se a Giada quel nome suonava “sbagliato”, capì che Bruno si riferiva a Grande Pietra e annuì.
«E come hai fatto ad andare dall’altra parte? È tutto chiuso…». Il bambino non riusciva a capire come Giada fosse passata dall’altro lato dello Scoglio del Silenzio. Aveva sempre pensato che non fosse possibile.
«No, guarda! Anche io pensavo di non poter passare dall’altra parte, e invece il tuo cagnolino mi ha fatto scoprire un passaggio! È strettissimo, ma forse ci passi anche tu, vieni!».
E così i tre piccoli esploratori si strinsero dentro la fessura di Grande Pietra e riuscirono a passare. Bruno, appena uscito, cominciò a saltare dalla felicità.
«Ma è fantastico! Hai scoperto un passaggio segreto! È una cosa incredibile! Adesso potremo superare lo scoglio e raggiungere subito l’altra parte! È bellissimo!». Giada era contenta che Bruno fosse tanto felice però non riusciva ancora a esserlo anche lei. Ormai, i suoi disegni erano diventati inutili, e soprattutto non veri. Dall’altra parte di Grande Pietra c’erano solo sabbia e mare.


La bambina aveva smesso di sorridere e Bruno se ne accorse, così le si avvicinò. Stava per chiederle cosa non andasse quando vide il disegno di un lago tra le montagne.
«E questo posto dov’è? Tu ci sei stata? Esistono davvero laghi così grandi?».
«Sì, certo» rispose Giada. «Proprio da casa mia ne vedo uno grande così». Bruno non poteva crederci. Vicino casa sua c’erano soltanto torrenti quasi asciutti e qualche pozzanghera quando pioveva tanto.
«E com’è farsi il bagno nel lago? È freddo? Ci sono i pesci?». Giada scoppiò a ridere, e Sirio, accucciato tra le sue gambe, saltò in aria.
«Sì, certo che ci sono i pesci! E no, non ci facciamo il bagno, ma andiamo in barca a volte… Guarda, così». La bambina prese il legnetto che aveva abbandonato vicino al disegno. Iniziò a disegnare sul lago una piccola barca. Bruno le si accovacciò accanto e continuò a farle domande su quel posto. Giada rispondeva raccontando e disegnando nello stesso tempo, e così continuarono per tutta la mattina.
All’inizio la bambina aveva raccontato solo cose che le erano successe, poi però aveva parlato a Bruno di cose che aveva sognato e poi di altre storie che aveva immaginato nelle sue passeggiate. Il bambino allora aveva preso il legnetto al posto di Giada e aveva disegnato sulla spiaggia mentre la bambina raccontava.
Dopo un po’ i racconti erano diventati storie con personaggi e animali incredibili che i due bambini quasi non facevano in tempo a disegnare. Giada era ormai contenta che dall’altra parte di Grande Pietra non ci fosse uno dei suoi mondi fantastici, ma solo sabbia e mare, e un altro amico.


Quando si fece ora di andare, i due bambini si lasciarono con la promessa di rivedersi l’indomani da quel lato di Grande Pietra, o dello Scoglio del Silenzio come lo chiamava Bruno.
Quando il bambino attraversò la fessura nella roccia, anche Giada s’incamminò verso casa. Arrivata lontana dalla spiaggia, si girò ancora una volta verso Grande Pietra e improvvisamente le sembrò che per la prima volta la sua amica le stesse sorridendo in silenzio.

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